«La zona rossa» Il poeta inclusivo ai tempi del virus
«La zona rossa» non è un libro sulla paura. Le sue poesie non fanno del lutto il loro motore narrativo. E questo nonostante i mesi di isolamento, trascorsi faccia a faccia con la malattia con cui ha forzatamente coabitato per l’intero marzo, silenzioso e freddo come mai prima. Non ne ha stravolto l’ambizione neppure la salute compromessa della madre, che si è spenta poche settimane prima: i frequenti controlli ospedalieri insufficienti a farla guarire. Il vento tagliente di quest’anno inquietante che, proprio in quelle stanze al neon, si è, con ogni probabilità, insinuato nella vita dell’autore sotto forma di virus. Quello che ormai conosciamo tutti. Aprile è stato il mese della convalescenza, del bisogno di creare, di parlare, di mettere in versi le emozioni tutte - questo è certo -, ma non a discapito del messaggio di critica della speranza, di analisi positiva e ambiziosa di una società diversa, migliore. L’ULTIMA OPERA del bresciano Raffaele Castelli Cornacchia, edita da Transeuropa, non è cronaca sterile, ma è poesia che vuole avvicinare, includere. Eludere l’élite, aggirare il circolo stretto ed esclusivo di chi parla e si capisce a senso, stringere per condividere la poesia stessa – straordinario veicolo di passioni ed emozioni -, ma anche i messaggi che l’autore, senza filtri, sente il bisogno irrinunciabile di trasferire. La poesia per Castelli Cornacchia - insegnante e formatore, oltre che presidente provinciale dell’Enat (Ente Nazionale Arti e Tradizioni Popolari) – è, ancora una volta, una veste insolita, e non solo per questo straordinaria, per un dovere morale che si rinnova e, del quale, non si deve mai fare rinuncia. Dopo le precedenti opere «Via Milano» e «L’alfabeto della crisi», torna a richiamarci alla misura, a «ribadire quanto la poesia non sia la soluzione, un modo concreto di risolvere un problema, ma uno strumento di analisi critica straordinario». Perché la missione di Castelli Cornacchia è «scrivere per l’altro, dimostrando che la poesia sia leggibile, i poeti inclusivi». Nelle sessantadue pagine de «La zona rossa» si assapora un estratto personale e accorato di temi che si presentano nella loro chiarezza, equidistanza, equipollenza. La solitudine, la malattia, la distanza imposta, l’amicizia, le speranze, le ambizioni di miglioramento sono solo alcune delle fragranze che fa respirare al lettore. «La mia non è una critica a tutto campo, o al potere, ma strumento di confronto e memoria. La nostra società, malata di egoismo ed autoreferenzialità, oggi si scopre anche clinicamente degente, a causa di un virus sconosciuto. Ho colto la sofferenza mia e quella che mi circondava, le ho interiorizzate. Con i miei versi ho voluto trasferire il senso di un cambiamento positivo, di amore, di solidarietà e di apertura». Parole che sono erbe medicali, dispositivi di protezione e vaccino dello spirito, sofferente, dell’uomo di oggi. • © RIPRODUZIONE RISERVATA
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